Un blog che racconta la mia esperienza con la Guillain Barrè e si rivolge a chi, pazienti e familiari, stiano vivendo o abbiano vissuto lo stesso incubo.
Si legge in senso inverso rispetto all'ordine in cui appaiono i post.

martedì 18 gennaio 2011

Giorno 4 - La diagnosi e la rianimazione

Mi misero un catetere dopo che per un'ora e mezzo non ero riuscita a farla nella padella.
Forse ero inibita per il fatto di trovarmi in uno stanzone, separata da altre 30 persone di ogni età e sesso solo da un piccolo paravento, vai a sapere.

Passai 24 ore al Pronto Soccorso del Grassi, fra zanzare che non mi davano tregua e da cui non potevo liberarmi, visto che non riuscivo a muovermi, e vecchiette che venivano tenute in osservazione dopo svenimenti sospetti, che mi raccontavano le loro storie.

Ricordo una ragazza con dei pants talmente hot da sembrare mutandine, bianchi con i cuoricini, che bestemmiava come uno scaricatore di porto perché fra la visita in cui le avevano riscontrato una frattura al polso ed il momento in cui si era liberata la sala gessi, non le avevano permesso di andare fuori a fumarsi una sigaretta. Alla fine, stufa di aspettare, se ne andò urlando come un'ossessa che aveva bisogno di fumare. Avrà avuto poco più di vent'anni.

Ricordo che durante la notte il signor Rossi (si chiamava proprio così), un ottantenne con la gobba che sembrava un folletto, andava girando per lo stanzone in cerca di sua madre e le infermiere ridevano mentre lo riportavano a letto e gli toccavano la gobba.

Ricordo due dottori in turno in due scrivanie vicine, di fronte al mio letto: uno dei due era un ragazzo della mia età, molto carino, attorniato da tutte le infermiere del pronto soccorso che parlavano con voci di un'ottava superiore al normale. L'altra era una dottoressa e visitava nello stesso lasso di tempo un numero di pazienti 3 volte superiore a quelli che visitava lui. Forse perché non aveva distrazioni.

La mattina tornò il neurologo e corresse la diagnosi. Fu allora che per la prima volta sentii parlare della Guillain Barrè. Mi disse che era una malattia autoimmune scatenata a volte da una influenza intestinale. La reazione crociata aveva fatto sì che i miei anticorpi, invece di attaccare l'agente esterno, non è ancora ben chiaro se si trattasse di un virus o di un batterio, avessero attaccato la mielina dei miei nervi, la guaina che conduce l'impulso nervoso, danneggiandola ed impedendo il passaggio dello stimolo. Ecco perché ero rimasta paralizzata. La terapia era comunque la stessa e così continuai con le immunoglobuline.
Nel frattempo si stava cercando per me un letto in un qualche reparto di rianimazione neurologica ed alla fine ne trovarono uno nello stesso ospedale, al piano di sopra. Avevo bisogno di essere monitorata 24 ore, perché i medici temevano che la paralisi avrebbe presto raggiunto il diaframma, impedendomi di respirare.
Appena arrivata in rianimazione mi riempirono il torace di sensori, mi attaccarono quello che imparai essere un frequenzimetro, ma che io chiamavo ditometro, con gran divertimento dei medici, e mi addormentarono per farmi la puntura lombare, che avrebbe confermato la diagnosi.

Mi risvegliai, poco dopo, la puntura già eseguita e medici ed infermieri intenti adesso a rianimare  una vecchietta che era andata in arresto cardiaco. Le fecero 6 fiale di adrenalina, ma lei morì lo stesso.

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