Un blog che racconta la mia esperienza con la Guillain Barrè e si rivolge a chi, pazienti e familiari, stiano vivendo o abbiano vissuto lo stesso incubo.
Si legge in senso inverso rispetto all'ordine in cui appaiono i post.

martedì 25 gennaio 2011

Il risveglio

Il giorno dopo aver subito la tracheostomia, mentre l'infermiere mi stava pulendo e mi girava prima su un lato e poi sull'altro, forse proprio a causa di quei movimenti, ebbi un'attacco di nausea e diedi di stomaco. Eviterò di scendere troppo nei dettagli, basti sapere che il rigurgito della nutrizione artificiale è pericoloso, in quanto il materiale digestivo potrebbe finire nelle vie respiratorie, con conseguenze che è facile immaginare. Fu quindi posizionata la sacca contenente la nutrizione artificiale più in basso rispetto al mio corpo, per bloccarne il flusso che, normalmente, raggiunge lo stomaco sfruttando la forza di gravità.
In seguito, attraverso il sondino, mi fu iniettato nello stomaco, per svuotarlo di ogni residuo, mezzo litro di Coca Cola, bevanda che a me, fra l'altro, non è mai piaciuta.
Chiaramente non ne sentii il sapore, ma avvertii soltanto lo scorrere nell'esofago di questo liquido freddo e decisamente frizzante. La soluzione funzionò ed il mio stomaco nel giro di poche ore si vuotò del tutto e cominciarono a farsi sentire i morsi della fame. Di lì a poco mi rimossero il sondino naso gastrico. Ricordo che chiesi l'anestesia prima di procedere, richiesta che fece sorridere la dottoressa, la quale mi confermò che, nonostante le mie paure, la rimozione non causa dolore, semmai un leggero fastidio.
A me sembrò lungo svariati metri, non finivano mai di estrarmelo dal naso.

Il giorno dopo feci il mio primo pasto.
Ricordo la scritta sul foglietto che accompagnava il vassoio, quando mi arrivò sul letto: dieta per tracheostomizzati e consisteva in un vasetto di omogeneizzati alla carne, un purè di patate e polpa di mela.
Ero felice come un bambino e mi sembrava la cosa più gustosa che avessi mai assaggiato.

Negli stessi giorni, mi resi conto che le mie gambe, seppur lentamente, stavano risvegliandosi e potevo finalmente muovere i piedi. Lo capii quando un giorno, a mia madre che era venuta a trovarmi, chiesi di tagliarmi le unghie dei piedi e ne tirai fuori uno dalle lenzuola, per farle capire cosa intendevo, quando facevo il gesto dell'indice e del medio che si aprono e si chiudono a forbice. Quelle due dita non erano più l'unica parte del mio corpo che riuscivo a muovere.

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